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“Baby influencer”, quanto si guadagna e cos’è il fenomeno che dilaga sui social. Ma i rischi sono enormi (VIDEO)

Pubblicato: 21/04/2024 16:09

Non vogliamo fare i passatisti o i disfattisti, ma per una sana crescita emotiva e psicologica pensiamo che da bambini si debba giocare, stare all’aria aperta, andare a scuola. Dunque, interagire con gli altri bambini, ma sul serio e non in maniera virtuale. Oggi, invece, parliamo con naturalezza dibaby influencer– o meglio content creator –, ovvero l’apoteosi dell’effimero declinata nell’età più verde, mentre i genitori, in molti casi, sostengono o addirittura promuovono tali “carriere” per i loro figli più piccoli. I genitori adultescenti meriterebbero una riflessione a parte, ma occupiamoci ora dei bambini. I già richiamati baby influencer e il cosiddetto sharenting – fenomeni, come vedremo, intimamente connessi – sono forse la cifra della decadenza dal mondo occidentale, e comportano pericoli evidenti, su cui torneremo. Per sharenting (una crasi tra i termini inglesi “share”, condividere, e “parenting”, genitorialità) si intende la pratica di condividere, in maniera bulimica, foto e video di bambini e neonati sui propri profili sui social network dei genitori. Sovente non sono foto delle vacanze o ritratti domestici, bensì uno strumento per fare business. Spieghiamoci meglio: i baby influencer impazzano sui social network sponsorizzando marchi e prodotti di vario genere. Un giro d’affari spaventoso, su cui torneremo in seguito. L’adultizzazione inappropriata dei minori viaggia in Rete. (Continua a leggere dopo il VIDEO)

L’infanzia manipolata

Non c’è, in Italia, una norma che disciplini queste pratiche: la regolamentazione dei vari aspetti è lasciata ai patti tra le parti, vale a dire i contratti tra i brand e i genitori, che si rifanno alle disposizioni generali. Parallelamente, proliferano profili di genitori che postano immagini dei propri figli mentre pubblicizzano prodotti per l’infanzia, ma anche prodotti che con l’infanzia non hanno attinenza, come trucchi e creme per la pelle. L’infanzia manipolata da (presunti) adulti, in definitiva. In tale modo viene aggirata la restrizione che nei Paesi dell’Unione europea (con controlli invero assai blandi) fissa a 14 anni l’età minima per iscriversi sui social network: sono infatti i genitori stessi ad aprire i profili con i propri dati. Qualche esempio: su Instagram le gemelline Taytum e Oakley Fisher, completamente identiche, hanno poco meno di 30 milioni di followers, partecipano alle sfilate moda bimbo, pubblicano post con in bella vista i marchi dei prodotti per fare colazione e così via. In Italia sono state presentate due proposte di legge per limitare il fenomeno. Una è sbarcata alla Camera lo scorso 22 marzo, presentata da Alleanza Verdi e Sinistra, mentre l’altra è stata presentata lo scorso 12 aprile e vede come prima firmataria la deputata 5 Stelle Gilda Sportiello. (Continua a leggere dopo la foto)

I rischi (enormi)

In accordo con i dati elaborati da un recente studio, pubblicato da The Journal of Pediatrics e citato dal portale Byoblu, ogni anno i genitori condividono online una media di 300 foto dei propri figli, e prima del quinto anno ne hanno già condivise quasi mille. Il numero più alto di condivisioni avviene su Facebook, seguito da Instagram e Twitter. L’unico criterio preso in considerazione per gli investimenti dei vari marchi, è quello delle visualizzazioni: chi riesce a raccoglierne in maggior numero è in grado di raggiungere profitti, attraverso i contenuti diffusi sulla Rete. Le bambine e i bambini, in una società che ha smarrito ogni valore, anche estetico, sono condizionati da modelli irraggiungibili e canoni di perfezione irreali, che non esistono nel mondo vero, con il corollario del crollo dell’autostima e in precoci forme di depressione. I rischi, oltre a quelli evidentissimi inerenti alla privacy e alla tutela dell’immagine del minore e alla sua stessa psiche, riguardano la raccapricciante, orrida e sottovalutata piaga della pedofilia. Una ricerca americana, anch’essa citata da Byoblu, afferma che che il 50% delle foto che circolano sui siti pedopornografici erano state pubblicate originariamente proprio da genitori ignari. Pubblicare informazioni come date, hobby o la scuola frequentata dal bambino offrono, inoltre, materiale utile per l’adescamento fisico e online. (Continua a leggere dopo la foto)

Il giro d’affari

Tornando al vuoto normativo che vi è in Italia, basta spostarsi in Francia per osservare come, sin dal 2020, una legge punti a tutelare i “baby professionisti“, regolando le ore di lavoro sui social, prevedendo una sorta di congelamento dei guadagni e la possibilità, se lo richiedano in futuro, di esercitare il diritto all’oblio. I dati sono sconcertanti: il mercato della pubblicità digitale per bambini vale 1,7 miliardi di dollari, secondo il report di PwC, e si stima che continuerà a crescere di oltre il 20% annuo.

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Ultimo Aggiornamento: 21/04/2024 16:20