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Berlinguer, il santo (laico) che provò a portare i comunisti al governo. Ma che già guardava avanti

Pubblicato: 18/06/2024 20:32
sorgi berlinguer

“Ho pensato di fare un libro su Enrico Berlinguer diverso dal saggio sulla sua storia umana e politica, ma che si sviluppasse come un racconto di quegli anni così importanti per l’Italia, ricordando da giovane cronista i fatti e le notizie di allora”. Marcello Sorgi, editorialista della Stampa – di cui è stato direttore – e tra i più ascoltati commentatori dell’attualità italiana e internazionale, presenta a The Social Post il suo ultimo lavoro. Il libro San Berlinguer (edito da Chiarelettere) riporta avvenimenti e osservazioni che hanno segnato il Paese dal 1972 al 1984, gli anni in cui Berlinguer ricoprì la carica di segretario del più grande Partito comunista dell’Occidente. Un leader che, ancora oggi, per la sinistra italiana – ma non solo – resta una figura carismatica e con una lunga ombra sempre presente. Con quel “santo” ripreso nel titolo del volume che Sorgi spiega nell’ultima pagina.

Nel libro Sorgi ripercorre i passaggi cruciali della storia politica di Berlinguer, segnata da molteplici tappe. Tra tutte, la strategia del “compromesso storico” per portare il Pci al governo, i governi di solidarietà nazionale, il distacco dall’Unione Sovietica, il successo alle elezioni del 1976 con uno storico del 34,37%. Fino alla sua morte a soli 62 anni, dopo un malore improvviso durante un comizio a Padova.

Sorgi, come è stato raccontare l’Italia di allora anche attraverso lo sguardo di Enrico Berlinguer?

“Il libro nasce per raccontare, attraverso gli occhi di un giovane cronista quale ero io allora, i passaggi importanti del segretario del Partito comunista italiano, dal rapporto con l’Unione sovietica al compromesso storico, raccogliendo gli elementi emersi in quegli anni attraverso gli occhi di Berlinguer. Io ho iniziato a lavorare al libro leggendo, studiando, ritrovando le interviste a molti intellettuali e leader politici del Novecento, che compaiono nella seconda parte del libro. Poi è sorto il dubbio se fosse stato interessante scrivere un altro saggio su Berlinguer”.

E come ha sciolto questo dubbio?

“Berlinguer dopo la morte è stato resuscitato, riabilitato, mitizzato. Io ebbi la possibilità di seguirlo anche da vicino in quegli anni, per cui dare un tono narrativo al libro è stato quasi naturale. E poi mi sono ricordato che nei primi anni della mia carriera giornalistica, per sette anni, io lavoravo a L’Ora, a Palermo, che oltre a essere stato il primo vero giornale antimafia era al 100% di proprietà del Pci. Per cui ricordo, e descrivo nel libro, la visita di Berlinguer alla redazione nel 1976. Era la prima volta che lo vedevo, io che venivo dal Movimento studentesco totalmente anti-Pci“.

Il libro, tra i tanti episodi, racconta anche quello tra il segretario del Pci e Leonardo Sciascia.

“Berlinguer stava girando l’Italia per spiegare ai militanti il compromesso storico. I giornalisti de L’Ora in larga misura erano contrari, anche perché seguivano le posizioni di Sciascia, che Berlinguer incontrò poi a cena la sera della visita perché lo scrittore doveva essere reclutato nel partito. Al tavola però, in cui i due furono messi uno di fronte all’altro, per tutta la cena non si dissero una parola, in un perfetto silenzio sardo-siciliano. Poi arrivò l’accordo, ma in seguito la rottura fu molto dura. Come e perché, con la rottura di un segreto tra i due, è raccontato nel libro”.

Oggi la sinistra si sente, ed è, orfana di Berlinguer. Perché manca un leader in quel campo politico o perché è cambiata tutta la politica, i temi e le strategie?

“È cambiato totalmente il quadro. O meglio, non c’è più la ragione sociale: il comunismo, cancellato sul piano mondiale e nazionale. Sparito il collante del partito-chiesa, con tutto quello che ne seguiva a livello di militanti, le direttive, la disciplina e il resto. Oggi la politica italiana è diventata un casino, mentre per Berlinguer era una scienza esatta”.

Ma Berlinguer sbagliò qualcosa nel non riuscire a portare il Pci al governo, in quegli anni? Puntò tutto sul compromesso storico e perse la partita.

“Il compromesso storico era la strategia per portare il Pci al governo e su questo Berlunguer si mosse con il sostegno di Aldo Moro. Ma nella Dc si rinviava, si discuteva, si doveva prima avere dal Pci il sostegno a un governo dc, che avvenne con i governi di solidarietà nazionale. Poi, ucciso Moro dalle Brigare rosse a maggio del 1978, venne meno quel passaggio fondamentale, che era la ragione su cui si basava il compromesso storico: in parlamento non c’era una maggioranza possibile, né unendo tutti i partiti anti-Pci, né con la sinistra unita. Da lì cambiò tutto, a cominciare dal fatto che Andreotti non seguì l’apertura di Moro e anzi, fece di tutto per tenere i comunisti all’opposizione, anche alleandosi con i socialisti di Craxi. Il quale in virtù dell’accordo arrivò alla presidenza del Consiglio. Nel dopo Moro, insomma, la strategia di Andreotti funzionò, visto che alle elezioni del 1979 il Pci perse un milione mezzo di voti e la Dc appena qualche migliaio”.

Ci fu poi anche la parentesi dell’eurocomunismo, sulla quale Berlinguer si spese molto ma che non fece passi significativi.

“Ma era chiaro. Berlinguer non fece alcuna apertura ai socialisti proprio mentre in più parti d’Europa quei partiti erano al governo. Anche se va detto che l’episodio raccontato da Occhetto, sul confronto con il segretario sul cambiamento del nome del partito (Occhetto suggerì Partito comunista democratico: fu bocciato), ci dice quanto Berlinguer vedesse già più avanti”.

Pur restando ancorato ai valori, o meglio ai principi di fondo del suo partito?

“C’è un episodio non riportato nel libro, ma molto significativo. Berlinguer aveva spesso degli incontri, non pubblici, con il segretario democristiano Ciriaco De Mita, dall’82 all’84, dettati soprattutto dalla comune antipatia per Craxi, il segretario socialista. In uno di questi incontri Berlinguer chiede a De Mita se crede nell’Immacolata Concezione: il leader dc iniziò a parlare per un’ora, come faceva lui, per dire che ci credeva. Per spiegare poi che i cattolici possono anche peccare, ma poi ci sono la confessione, la penitenza e il perdono a sostenerli. Invece Berlilguer gli dice: per me il peccato è la proprietà privata. Lo confida a De Mita, ma pensate se l’avesse detto in pubblico, negli anni Ottanta, quelli del nuovo boom economico. Gli operai della Fiat si compravano l’auto e, se possibile, le case a Torino costruite proprio dalla Fiat. Era quindi un anticapitalista nel momento sbagliato, con i socialisti lanciati in tutta Europa?”.

A proposito di socialismo e di governi europei, cosa sta succedendo nella Ue dopo le elezioni?

“Trovare un accordo sul nuovo governo europeo non è facile, come sembrava. Non è mai facile, può succedere di tutto e i dati parlano: la maggioranza uscente ha detto che riproporrà lo stesso assetto, per un bis della von der Layen al parlamento europeo. Hanno i voti? Sulla carta sì, ma potrebbero non bastare. Potrebbe anche spuntare un’alternativa, come accadde cinque anni fa con Manfred Weber, poi messo da parte e con i 5 Stelle che pure votarono per la von del Leyen.

E l’Italia che partita sta giocando sulle alleanze possibili?

“Ora le cose per la Meloni non sono semplici, perché se da un lato lei pensava di poter condizionare la scelta sulla presidenza, grazie al buon numero di eurodeputati conquistati da FdI, è stata stoppata. Dall’altro, l’aver puntato a guidare lo schieramento unitario delle destre non l’ha premiata, visto che tra quei gruppi è emersa già una spaccatura. Per Meloni è un passaggio complicato, perché non ha ricevuto un’apertura dalla possibile maggioranza e nel suo campo di riferimento c’è una diffusa instabilità. Senza dimenticare cosa potrà accadere dopo il voto in Francia alle politiche”.

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Ultimo Aggiornamento: 18/06/2024 22:38