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l’invasione delle Scuole del Gusto: templi della teoria senza pratica

Pubblicato: 24/06/2024 12:28

Negli ultimi decenni, le scuole del gusto hanno proliferato come funghi dopo una pioggia autunnale. Ovunque, in ogni angolo del Bel Paese, nascono accademie e corsi dedicati alla nobile arte della gastronomia e dell’enologia. Ma, come spesso accade, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Non tutte le scuole brillano per qualità, e non tutti i diplomati emergono come autentici maestri del gusto. Cominciamo col rendere omaggio a quelle poche, vere eccellenze che, con rigore e passione, sfornano professionisti preparati.

Pensiamo all’Alma di Colorno, che sotto la guida di Gualtiero Marchesi, ha saputo imporsi come un faro di alta cucina. Qui, la tradizione si sposa con l’innovazione, e gli studenti vengono formati non solo per cucinare, ma per pensare, vivere e sublimare l’essenza di quell’arte. Anche le scuole enologiche di Conegliano e Alba, con le loro storie centenarie, hanno saputo mantenere alta la bandiera dell’eccellenza. Questi istituti non solo insegnano a fare il vino, ma infondono nei loro studenti un rispetto profondo per la terra e per il ciclo della natura. O ancora la Fondazione Italiana Sommelier creata da Franco Maria Ricci, uomo visionario e alla continua ricerca della qualità che ha creato una accademia per una profonda conoscenza della cultura del vino e dell’olio. Ma, ahimè, per ogni scuola di eccellenza, ce ne sono decine che promettono mari e monti e poi deludono tragicamente. Troppo spesso ci troviamo di fronte a istituzioni che si concentrano sull’apparenza più che sulla sostanza. Si insegnano tecniche spettacolari, capaci di impressionare sui vari social, ma si trascurano le basi. Il risultato? Diplomati che sanno fare un piatto esteticamente perfetto e mediaticamente accattivante, ma non sanno distinguere un brodo ben fatto da uno mediocre.

Molta teoria, poca pratica (e si rimane lontani dai fornelli)

Un’altra grave pecca di molte scuole è la prevalenza della teoria sulla pratica. Se c’è una cosa che il mestiere del cuoco o dell’enologo, o del sommelier richiede, è la pratica. Eppure, molte scuole cadono nell’errore di privilegiare la teoria a discapito dell’esperienza sul campo. Si esce con un diploma in mano e un mare di nozioni, ma con pochissima dimestichezza ai fornelli o in vigna.

Non possiamo poi ignorare il fenomeno dei corsi rapidi e dei diplomi facili. In nome del profitto, alcuni istituti offrono corsi che promettono di trasformare chiunque in chef o sommelier in poche settimane. Ma il gusto, signori miei, non si insegna a colpi di certificati rapidi. È il frutto di anni di lavoro, di errori, di successi e di infiniti assaggi. Chi desidera intraprendere la strada della gastronomia o dell’enologia deve tenere gli occhi aperti e il palato allenato. È essenziale preferire scuole con una storia solida e riconosciuta, che mettano l’accento sulla qualità dell’insegnamento e non sulla quantità degli iscritti. Inoltre, è cruciale assicurarsi che il corso offra molte ore di pratica, preferibilmente in collaborazione con ristoranti, cantine e aziende agricole. Il diploma non è un traguardo, ma un punto di partenza. Continuare a imparare, a sperimentare, a viaggiare è fondamentale, poiché il gusto si affina col tempo e con l’esperienza. Le scuole del gusto, se ben fatte, possono essere fucine di talenti straordinari. Ma è fondamentale che chi vi si avvicina lo faccia con la consapevolezza che la strada è lunga e costellata di ostacoli. La vera scuola del gusto è la vita stessa, con i suoi sapori, i suoi odori e le sue infinite sfumature. E come diceva il buon Marchesi, “Il gusto è come la cultura: non è mai finito”.

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