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“Raga’, dateve ‘na mossa…”: Giorgia comanda, i vice obbediscono

Pubblicato: 27/06/2024 08:32

Palazzo del Parlamento, interno aula. Un’aura di solennità permea l’ambiente, mentre la Premier, donna e madre, leader indiscussa della destra italiana, sfoggia un’espressione tra il contrito e il teatrale. È “esterrefatta” dalla “orribile, disumana” morte di Singh, un bracciante indiano abbandonato al suo destino da un caporale italianissimo. Le parole sono forti, decise. L’Aula, di rimando, risponde con un applauso che sa di recita scolastica. L’inquadratura della regia parlamentare resta impietosa sulla triade governativa. Meloni, al centro, con i suoi appunti, prende un sorso d’acqua. Alla sua destra, Tajani batte le mani come se stesse cercando di schiacciare una zanzara invisibile. Alla sinistra, Salvini, ministro oggi delle Infrastrutture, un tempo delle ruspe, concede un applauso talmente timido che sembra più una formalità che un gesto sentito.

Tra i banchi parlamentari, qualcuno si alza in piedi, forse più per rispettare il copione che per omaggiare il povero bracciante. Meloni, avvertendo l’umore dell’Aula e l’attenzione dei fotografi, si fa più teatrale: “Sì, raga’, dateve pure voi”. Ragazzi, sì. Così chiama i due vicepresidenti del Consiglio e la corte di ministri e sottosegretari che affolla i banchi del governo. Ragazzi, come fossero in un gruppo WhatsApp di liceali. “Dateve“, ordina con quella parlata romanesca che emerge nei momenti più “spicci”, come quando definì i debiti del Superbonus “super buffi”.

Il microfono è acceso, ma lei lo sa. “Non mi fate fare brutta figura”, sembra sottintendere. Tajani, sempre pronto, sussurra: “Ho fatto chiedere i visti per la famiglia”. “Bravo”, lo gratifica Meloni, come una maestra soddisfatta del compitino ben fatto. Salvini, più lento e dopo aver tossito nelle mani (forse per finta, per guadagnare tempo), si alza e concede un secondo di breve applauso. La scena è salva. Meloni riprende la sua dura condanna, cercando di dirigere la sua riluttante orchestra con la grinta di un direttore d’orchestra di periferia. Copre il “cattivismo” della Lega con un velo di umanità. Mostra vicinanza a una tragedia da cui il governo finora è sembrato lontano anni luce. Riprende, dura: quel caporale inumano è “l’Italia peggiore“. Salvini non applaude, fisso nel suo sguardo di ghiaccio. È già fuori dalla commedia dell’Aula, quella che lo vede talvolta protagonista di siparietti amichevoli tra alleati litigiosi.

E mentre Meloni continua a recitare la sua parte, l’eco del suo “Dateve, raga’” risuona ancora, come un richiamo lontano. Un richiamo che, chissà, potrebbe anche svegliare qualcuno dalla torpida apatia della politica italiana. Ma forse, più che svegliarsi, sarebbe meglio che qualcuno iniziasse davvero a fare qualcosa di concreto.

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