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Chi è Giovanni Falcone, l’uomo che ha pagato con la vita la lotta alla mafia

Pubblicato: 22/05/2020 10:49

Il prossimo 23 Maggio sarà il ventottesimo anniversario della strage di Capaci. L’attentato provocò la morte di Giovanni falcone, la moglie e tre agenti della scorta: un episodio che ha lasciato un segno indelebile nei cittadini italiani. Il magistrato Falcone insieme ad altri collaboratori, rappresentano un simbolo della lotta contro la mafia.

La biografia

Giovanni Falcone nasce a Palermo, il 18 Maggio del 1939, da Arturo, direttore del laboratorio chimico provinciale e da Luisa Bentivegna. Cresce in un ambiente familiare stimolante, un padre e una madre presenti e altre due sorelle alle quali è molto legato.: nutre nei confronti della propria casa un particolare affetto. Già nell’infanzia, il futuro magistrato impara il senso del dovere:“Eravamo abituati a ubbidire, a fare quello che si doveva fare”, dichiara in merito la sorella Maria Falcone, in un’intervista a Siamo noi.“Lui in particolare aveva la religione del dovere”, sottolinea parlando del piccolo Falcone.

Gli studi

Frequenta il liceo classico a Palermo, dove si appassiona alla storia e ai movimenti sociali che ne fanno parte. Dopo il diploma, consegue una breve esperienza all’Accademia Navale di Livorno. Tuttavia, presto torna alla città natale per iniziare gli studi in giurisprudenza ed è proprio in questo campo che emerge la sua vera vocazione. Difatti, prosegue con dedizione e amore la carriera universitaria, laureandosi con il massimo dei voti nel 1961. In questo periodo oltre lo studio coltiva anche la passione per lo sport, passando molto tempo libero in palestra. La sorella Maria Falcone ha raccontato a Siamo noi della particolare predilezione per la ginnastica artistica. Tuttavia, a causa di una caduta dalle parallele, Falcone abbandona la ginnastica per passare al canottaggio. “Era programmato per cercare di fare sempre il meglio, anche nello sport”, ha raccontato la sorella nell’intervista.

L’approccio al mondo del lavoro

In seguito alla laurea, Giovanni Falcone esegue il concorso in magistratura ottenendo il primo incarico nel 1965 come pretore a Lentini. Questi sono anche gli anni in cui conosce e sposa Rita Bonnici e nel 1967 viene trasferito a Trapani come sostituto procuratore, dove si reca insieme alla moglie. Matura sempre di più la propria inclinazione nei confronti del settore penale ed è proprio a Trapani che avviene il primo incontro con la mafia. Difatti, il giovane magistrato si occupa di un boss di rango, Mariano Licari. Questa esperienza crea nella mente di Falcone le prime idee di complotti e relazioni nascoste. Tuttavia, nel 1978 finisce l’esperienza trapanese e con essa anche il matrimonio con Rita. Nel frattempo, nel capoluogo siciliano si iniziano a diffondere terribili crimini di mafia.

Giovanni Falcone e la lotta contro la Mafia

Falcone torna a Palermo e la carriera prosegue al fianco del magistrato Rocco Chinnici. Si dedica alle indagini su Rosario Spatola, imprenditore siciliano imparentato con la famiglia Gambino di New York. Questa inchiesta, tratta il riciclaggio dei capitali provenienti dal traffico di droga. Rappresenta la prima vittoria di Falcone e crea l’inizio di una nuova collaborazione tra Italia e Stati Uniti per la lotta contro la mafia. Nel frattempo però, a Palermo il numero di omicidi aumenta continuamente. Il 29 Luglio del 1983 esplode un autobomba che uccide Chinnici e due uomini della scorta, in un tale contesto drammatico, i cittadini si affidano a uomini onesti come Falcone. Durante questi anni, il magistrato incontra Francesca Morvillo, la donna con il quale si sposa nel 1986. I due, passano insieme il resto dei giorni, purtroppo sarà la strage di Capaci la causa della morte di entrambi.

Il metodo “Follow the money”

Falcone sperimenta un nuovo metodo investigativo, utilizzato ancora oggi dallo stato. Meglio noto come il metodo “Follow the money”, il magistrato crede fermamente che il denaro lascia sempre delle tracce e decide di analizzare i flussi finanziari. In particolare, effettua i controlli presso banche e istituti di credito in Italia e all’estero, avendo così possibilità di individuare più facilmente i capitali sospetti.

Pool antimafia e maxi-processo

A causa della diffusione dei crimini di mafia, inizia per il magistrato Falcone la vita da uomo relegato. Tra casa e ufficio, tra macchine blindate e scorte, parte il cambiamento di chi si apre pubblicamente alla lotta contro la mafia. Il successore di Chinnici, Antonino Caponnetto, invita il giovane Falcone a partecipare al pool antimafia. Si tratta di un gruppo di magistrati con il solo scopo di analizzare il caso Cosa Nostra. Tuttavia, l’eroe siciliano intuisce sin da subito che dietro l’organizzazione mafiosa vi erano rapporti fitti e gerarchici ed è proprio questa convinzione che lo porta all’analisi di documenti sequestrati agli imputati. Falcone è consapevole del rischio al quale si espone, ma l’obiettivo è quello di cercare collegamenti tra imputati e altri personaggi. Emerge una personalità forte e intuitiva.

Il maxi-processo

Giovanni Falcone e gli uomini che come lui hanno dedicato la vita alla lotta contro Cosa Nostra, sono la rappresentazione concreta che un cambiamento è possibile. Il risultato più importante dell’attività del pool è il maxi-processo, concluso il 16 Dicembre del 1987, dopo ventidue mesi di udienze in un’aula bunker. Nessuno immagina prima di quel momento un risultato simile, invece 475 individui sono finalmente imputati e portati sotto processo. Per la prima volta nella storia, le attività mafiose divengono reato riconosciuto con conseguenti responsabilità penali. In seguito all’aiuto del primo pentito Giovanni Buscetta si confermano le teorie portate avanti da anni, svelando le relazioni intrecciate e complicate che caratterizzano Cosa Nostra. Falcone e gli altri uomini realizzano il lavoro sacrificando la propria privacy e la propria sicurezza personale, soffrendo la perdita di cari amici. Un lavoro portato avanti con determinazione, per il bene della società.

La delusione del C.S.M

In seguito al maxi-processo, Caponnetto va in pensione ed è costretto a lasciare il pool. Il 19 Gennaio del 1988, il consiglio superiore della magistratura deve scegliere tra due canditati: Giovanni Falcone e Antonino Meli. I voti si alternano da uno schieramento all’altro, ma alla fine alla guida dell’ufficio istruzione si nomina Meli. Un esito che contribuisce ad accrescere il senso di solitudine e delusione del magistrato.

Un conflitto che va oltre la mafia

Un evento che cambiò in modo irreversibile la qualità di vita di Giovanni Falcone si ricorda come l’attentato all’Addaura, ma in questo caso si tratta di un attentato fallito per pura casualità.. Il 20 giugno del 1989, nella villa del magistrato all’Addaura, succede qualcosa di anomalo. Tra gli scogli adiacenti alla villa, un agente della scorta trova un borsone con della dinamite. Falcone proprio quel giorno si trova con due colleghi svizzeri, e uno di questi è il magistrato Carla Del Ponte: un particolare noto esclusivamente agli addetti ai lavori. Falcone si convince che dietro al tentativo di delitto, vi siano “menti raffinatissime”, espressione utilizzata dal magistrato stesso, per indicare soggetti al di fuori delle associazioni mafiose che ne guidano i movimenti. Emerge la paura di dover fronteggiare non solo soggetti appartenenti a Cosa Nostra, bensì anche i propri collaboratori.

Da Palermo a Roma

L’attentato all’Addaura fa nascere diverse ipotesi ed alcune a sfondo complottistico: tra queste la convinzione che Falcone stesso aveva posto il borsone nella propria abitazione per simulare la minaccia. Di conseguenza, il lavoro a Palermo diventa insostenibile e il magistrato si trasferisce a Roma. In lui cresce sempre di più la convinzione di una connessione diretta tra il potere criminale e quello politico. Accoglie l’invito del Ministro Claudio Martelli per ricoprire il ruolo di Direttore degli Affari Penali al Ministero, prendendo servizio nel novembre 1991: il suo obiettivo è quello di garantire maggiore coordinazione attua un lavoro per la costituzione di un ufficio centrale nazionale, la Direzione Nazionale Antimafia, meglio nota come Superprocura. Falcone acquisisce la possibilità di indirizzare la politica legislativa del governo nei confronti delle indagini per gli atti di mafia. Anche in questo caso, subisce l’avversione di alcuni colleghi, accusato di avvalersi autonomamente di troppi poteri. Falcone si definisce ormai un “cadavere ambulante”.

La strage di Capaci, una lotta costata la vita

Il 23 Maggio del 1992, è una delle date che ha cambiato la storia italiana. Una squadra di mafiosi, infatti, organizza l’attentato decisivo che prevede un elevato carico di tritolo posto sotto l’autostrada. Esattamente tra l’aeroporto e la città di Palermo, all’altezza dello svincolo di Capaci. Falcone torna da Roma e l’esplosione causa la sua morte, della moglie e di tre uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Gli agenti della scorta muoiono sul colpo, Falcone e Francesca Morvillo vengono trasportati in ospedale. Morvillo morirà sotto i ferri: Giovanni Falcone, senza mai riprendere conoscenza, muore tra le braccia dell’amico fraterno e collega instancabile Paolo Borsellino, che poche settimane dopo avrebbe subito lo stesso destino.

I funerali

Palermo e l’Italia intera hanno detto addio a Giovanni Falcone il 25 maggio, ai funerali del magistrato. La bara arrivò alla chiesa fendendo una folla enorme di cittadini palermitani, distrutti per la morte del magistrato e accalcatisi nella piazza per rendergli omaggio. La cerimonia, ripresa dalle telecamere, ha visto la partecipazione di numerose personalità politiche: la presenza di molti politici in prima fila ha sollevato nel tempo enormi polemiche, in quanto la classe politica era accusata di aver lasciato Falcone solo sotto ogni aspetto, così come, secondo alcuni, fecero diversi magistrati. Poco dopo la morte di Flacone il magistrato Ilda Boccassini accusò i suoi colleghi nell’aula magna del Tribunale di Milano: “Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali”. Proprio la Boccassini, in seguito, chiese di poter essere trasferita a Capaci per poter indagare sulla strage.

Il discorso della vedova Schifani

Al funerale, tra coloro che parlarono, ci fu anche la vedova di Vito Schifani, uno dei giovanissimi agenti della scorta. Il suo discorso e le sue lacrime passarono alla storia per la forza delle sue parole, rivolte direttamente agli uomini di mafia e a tutti coloro che sapevano che Falcone era in gravissimo pericolo e non hanno fatto nulla:

“Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato…, chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare”.

Gli insegnamenti di Giovanni Falcone

La morte di Falcone è stato evento disarmante che ha segnato la storia della lotta contro la mafia, portata avanti fino alla morte dai suoi protagonisti. I cittadini italiani seguono, ancora oggi, le tracce e gli insegnamenti lasciati da uomini come Giovanni Falcone e chi con lui ha lottato fino all’ultimo per liberare la Sicilia dai crimini mafiosi.

“Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.”

(Giovanni Falcone)