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Mostri, delitti e sparizioni: cosa significa fare l’investigatore privato in Italia

Pubblicato: 30/10/2020 17:31

Investigatore privato: due parole in grado di richiamare immediatamente alla mente un’immagine, un archetipo ben preciso. Innumerevoli i film che, dagli anni ’50 circa, hanno stigmatizzato l’idea dell’investigatore privato, quello con impermeabile, cappello, sguardo da duro e oscuro passato d’ordinanza. Ancora prima, il lavoro è stato molto intaccato da personaggi letterari come Hercules Poirot, Sherlock Holmes, Miss Marple e via dicendo. La realtà dei fatti, però, è molto diversa: cosa vuol dire fare l’investigatore privato in Italia? The Social Post ha intervistato uno dei migliori, il criminologo Davide Cannella.

Chi è l’investigatore privato Davide Cannella

Il Mostro di Firenze, il delitto di Elena Ceste, la strage di Erba. Casi diversi, a loro modo tutti orribili ma legati da un filo comune: su tutti c’è stata la mano e l’occhio investigativo di Davide Cannella, Presidente dell’Associazione Italiana Criminologi e Criminalisti Investigativi. Prima, è stato dall’altra parte della barricata: per 12 anni nella squadra della polizia giudiziaria, Cannella è convinto di “conoscere il mestiere da entrambi i lati“.

Chi, probabilmente, non ha ben chiaro cosa faccia un’investigatore privato in Italia, è invece la maggior parte delle persone. “È un po’ come la Siberia: tutti sanno dov’è ma nessuno ci ha messo piede“.

L'investigatore privato Davide Cannella
L’investigatore privato Davide Cannella

Fare l’investigatore privato in Italia

Nello stereotipo più comune, l’investigatore privato è “la persona con il giornale con i buchi”. Al di là degli aspetti caricaturali, però, c’è un mondo diverso. In Italia, infatti, esistono sostanzialmente 2 modi per fare questo lavoro: l’indagine privata classica, e quella giudiziaria. Dal 1989 e con l’entrata in vigore del nuovo Codice di Procedura Penale – spiega Cannella – si è messo in condizione la difesa di un imputato di poter fare indagini: “Il pm ha la polizia giudiziaria, il difensore ha l’investigatore privato“. Tuttavia, secondo l’esperto “ancora molti avvocati non hanno capito e molti investigatori non sanno da che parte girarsi“. Come dire: “abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani“.

Quanto incide sul corso di un processo un investigatore privato?

È indispensabile per provare la propria innocenza. Non soltanto in ambito revisionale ma anche processuale. Se io ritengo di essere innocente e mi si accusa della cosa, se sono colpevole vado al rito abbreviato e chiedo tutte le attenuanti possibili e immaginabili, ma se io ritengo di essere accusato ingiustamente è chiaro che mi devo difendere e che devo provarlo. Per farlo ho bisogno di chi fa queste indagini. E chi le fa? L’avvocato Perry Mason che ancora non esiste, o l’investigatore privato, che comunque ancora non esiste tranne qualche raro caso. Io sto “donchisciottescamente” lavorando in questo campo da oltre 30 anni.

Indagini, intercettazioni e interrogatori: cosa si può fare

Quali sono gli strumenti e le tecnologie a disposizione?

Dobbiamo lavorare con le unghie e con i denti. La polizia giudiziaria dispone di strumenti enormi, noi abbiamo addirittura difficoltà nell’interrogare le persone. C’è il modo: se io so che lei ha elementi tali e utili all’indagine, se lei non vuole rispondere io posso citarla davanti al magistrato, dicendo “caro pm, interrogami tizio perché sa cosa utili al mio cliente“.

Sembra complicato, specie perché il pm di solito è l’accusa…

A differenza di molti altri paesi, il pm in Italia ha una forma schizofrenica: non soltanto ha questa condizione che deve indagare per accusare, ma nel codice penale c’è scritto che deve compiere anche atti a favore dell’imputato, quindi deve cercare anche elementi pro imputato. Cosa che non vedrà mai, perché ci si innamora della tesi e la si porta avanti fino in fondo.

Può fare intercettazioni?

Possiamo chiederle, sempre al pm. È il deus ex machina di tutta la questione giudiziaria. Può essere la stessa persona, in questo caso servirebbe un ufficio con giudici terzi e quindi equidistanti dalle parti. Il pm quando compie gli atti li compie in una fase coperta, senza dover dare conto o ragione alla difesa, noi invece questa cosa qui non l’abbiamo, giochiamo a carte scoperte fin da subito.

Il Mostro di Firenze: un caso-incubo senza fine

Quali sono i casi con cui si trova più spesso a che fare?

Io ho lasciato l’Arma per occuparmi della cronaca nera per occuparmi delle indagini giudiziarie. Poi chiaro che bisogna far quadrare il bilancio e fare anche indagini privati, abbiamo squadre che si occupano delle separazioni, dei problemi industriali, le classiche sciocchezze come l’assenteista, il dipendente che dice di essere mezzo morto e invece non lo è…

Cosa significa per lei indagare su casi di alto profilo come il Mostro di Firenze?

Il Mostro di Firenze per me è una fobia. Una storia di cui mi sono occupato anche nell’Arma. Ho scritto un libro sull’argomento (Winchester Calibro 22 Serie H, edito da Abra books [NdR]), mi occupo e continuo ad occuparmene anche dopo l’Arma. Purtroppo per mia disgrazia ho trattato quasi tutti i filoni: la questione del medico di Perugia, di Narducci… Mi sono occupato della pista dei sardi, di Vinci, di Pacciani, di Mario Vanni, per la quale ho curato la richiesta di revisione poi non andata a buon fine.

All’epoca smontai l’accusatore principe, con documenti alla mano, dimostrando che Giancarlo Lotti stava mentendo spudoratamente per quanto riguardava il delitto dell’85, i ragazzi della tenda. Ma poi non è servito, è finita a tarallucci e vino: nei processi può succedere anche questo, “si è vero tutto. però“… La storiaccia era quella della macchina di Lotti, lui diceva di essere andato lì con la sua macchina, scoprimmo però che non aveva più quella lì, la sua era sulle ceppe, senza ruote, senza il volante, motore finito, addirittura aveva dentro galline che facevano le uova. Alla fine nonostante dimostrammo che lui quella macchina lì non l’avesse per quella sera lì, il giudice disse che potrebbe averla rimontata ed esser andato sul luogo del delitto con quella macchina. Disarmante, mi sono cadute le braccia.

Davide Cannella assieme a Pietro Pacciani
Davide Cannella assieme a Pietro Pacciani

Quando finisce il lavoro di un investigatore privato

Alcuni di questi casi vanno avanti per decenni. Quando può dirsi finito il suo lavoro?

Nel caso in particolare del Mostro di Firenze erano più filoni, finito uno iniziava un altro, si passavano il testimone. Erano tutti legati. Non finisce mai così, c’è un’infinità ancora di cose aperte e la cosa non è ancora chiusa. Anche se per me, dopo il libro, ho detto “non parlatemi più di Mostro perché non ne voglio più sapere“… E invece continuano.

C’è un caso che le ha svoltato la carriera?

Ricordo un duplice infanticidio a Pontedera, accusato il marito. Ma anche un duplice omicidio a Raffina, provincia di Arezzo: era accusato un ragazzo di appena 18 anni, nonostante avessimo trovato le prove a favore inizialmente lo hanno condannato a 20 anni, poi in appello lo hanno assolto con formula piena tanto è vero che il pm non ha chiesto neanche di fare un appello successivo.

Quando l’investigatore incastra il cliente

È mai arrivato a conclusioni contrarie a quelle sperate da chi l’ha assunta?

Come no. Quando arrivo a conclusioni che vanno al lato opposto mi fermo e rinuncio all’incarico.

Se succede durante un processo, come si comporta?

La responsabilità primaria è andare dall’avvocato e dire “ho trovato questo questo e quest’altro, vedi te come te la puoi sbrigare“. L’investigatore privato di difesa è un giocatore di scacchi, un cercatore di pezzi da porre sulla scacchiera ma la partita la gioca l’avvocato. Sei io porto, che so, la fotografia mentre il cliente ammazza qualcuno, è chiaro che poi è l’avvocato che sceglie quale strada percorrere.

Ma se lei avesse la foto del cliente che uccide qualcuno, non la porterebbe all’accusa?

No, sarebbe un reato gravissimo. Un difensore o perito non può prendere prove a carico dell’imputato e portarle al pm. Se trovo elementi tali che dimostra che il mio cliente ha torto marcio, non posso portarle all’accusa, tecnicamente si chiama patrocinio infedele. Varrebbe anche per me, faccio parte della difesa. Il segreto professionale è sacro, non posso andare a dirgli “si lo ha ammazzato“. Per fortuna, va a vantaggio di entrambe le parti, non possiamo diventare le spie dell’accusa.