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A volte, si potrebbero capovolgere le classifiche: siamo davvero sul tetto del mondo?

Pubblicato: 16/07/2021 08:37

Da quando l’Italia ha vinto il suo titolo europeo, i post hanno praticamente tutti lo stesso tenore: ci prendiamo il mondo, siamo i più forti del mondo, l’Italia è la prima in classifica (calcistica), siamo sul tetto del mondo, oltre al dileggio per tutte le squadre che sono andate a casa con le pive nel sacco. A ciò aggiungiamo tutti i post ispirazionali di tutti coloro che, in mancanza di argomenti più interessanti, si aggrappano alla metafora calcistica per rifilarci l’ennesimo pistolotto su quanto siamo belli e bravi, e tutti i post tecnici di allenatori mancati che ci spiegano per filo e per segno tutto quello che loro avrebbero fatto in panchina. Quindi, lasciato scemare l’entusiasmo assoluto per questa favolosa impresa che pare aver cambiato il destino dell’italica nazione, colgo l’occasione, per fare una panoramica su alcuni bias che sono emersi in queste settimane, visto che i bias hanno a che fare comunque con l’intelligenza linguistica.

Bandwagon effect: il carrozzone va avanti da sé

Parlando di bias, ovvero di quegli errori che condizionano il nostro cervello, come non iniziare con il bandwagon effect? Il “bandwagon effect (effetto carrozzone)” consiste nell’aggregarsi all’opinione che va per la maggiore e nel preferire opinioni popolari rispetto a quelle meno gettonate.

È simile a quella che gli psicologi chiamano “riprova sociale”, che consiste per l’appunto nel seguire la maggioranza. Se, ad esempio, qualcuno fosse in dubbio se fare l’ennesimo commento sulle dichiarazioni del ct della nazionale spagnola, Luis Enrique, perché magari ha pensato che si tratterebbe in effetti di un commento inutile ma poi questo qualcuno iniziasse a leggere sui social decine e centinaia di pseudo leader ispirati che parlano di questa cosa, è possibile che anche a questo qualcuno scappi un fatidico post sul ct spagnolo e la sua sportività e il fatto che dovremmo prendere esempio da lui. Oppure, se scorrendo i feed vi trovaste a notare una mole abnorme di professionisti di vario genere che si dilettano offrendoci lezioni di vita ispirate dalle italiche calcistiche imprese e anche a voi venisse voglia di fare il vostro ispirato commento, ecco si tratterebbe proprio di questo bias. Se nessuno, in un mondo utopistico e meraviglioso, si sentisse in dovere di commentare la partita, voi scrivereste lo stesso?

La cosa affascinante di questo bias riguarda il fatto che, contemporaneamente, in pratica nessuno scrive invece post o papiri sul fatto che, ad esempio, a livello europeo l’Italia è ultima in classifica per quanto riguarda la lettura di libri, abbondantemente dietro Francia e Spagna. Più facile spernacchiare Francia e Spagna per un paio di partite che tirar fuori un altro genere di classifiche, quelle appunto, ad esempio, dei libri letti. Saliamo sul carro del vincitore, che è meglio. 

Bias del pavone

Avete mai visto, su Instagram, gente che pubblica storie di litigate, discussioni, brutti voti dei figli e cose del genere? Forse qualcuno, ogni tanto, pubblica la foto della propria faccia con un po’ di brufoli o uno scorcio di un cosciotto con cellulite, ma si tratta più che altro di marketing acchiappa consensi che sfrutta l’onda del momento. Solitamente, sui social offriamo il meglio di noi e occultiamo il resto. Come i pavoni, appunto, che fanno il possibile per impressionare chi li guarda. Tornando ai nostri feed di LinkedIn e Facebook e Instagram, ad esempio, alle suddette e sperticate lodi alla nostra nazionale non corrispondono altrettante stigmatizzazioni di comportamenti che sarebbero come minimo da citare, partendo dal buon Chiellini che, non si sa se preda a un raptus o, come direbbe Occam, più probabilmente ignorante come una panchina (sull’argomento in questione, s’intende) scambia “razzismo” per “nazismo” e non ha la minima idea del motivo per cui i suoi compagni di squadra dovrebbero o meno inginocchiarsi prima di un incontro per arrivare fino al vergognoso comportamento di Ciro Immobile, deriso da mezzo mondo per essersi prima rotolato a terra simulando la morte e poi per essersi rimesso a correre come se niente fosse, dando prova di un comportamento anti sportivo di proporzioni colossali e, francamente, imbarazzante ai limiti dell’umana decenza. Di questa volgare vergogna, a quanto pare, pochissimi hanno parlato. Anzi, quando in un mio post l’ho fatto notare, ho ricevuto moltissime risposte, del genere: “eh, lo fanno tutti”, “eh ma allora gli altri” o, la mia preferita, “fa così solo per permettere all’arbitro di valutare meglio la situazione”. Adorabili. Quindi: gli inglesi che si tolgono la medaglia sono poco sportivi, Immobile che in modo patetico simula la morte e poi vola a festeggiare come una libellula, invece, non è poco sportivo, anzi. Tutto nella norma. 

Cecità selettiva

Un altro bias meraviglioso è chiamato “focusing bias” e consiste nel vedere solo quello che corrisponde alle nostre matrici mentali o alle nostre aspettative (in questo caso, entrerebbe in gioco anche il “wishful thinking bias”, ovvero quel tipo di errore cognitivo che ci fa credere agli oroscopi, persino a quelli di Paolo Fox che, pur avendo predetto un 2020 meraviglioso soprattutto per i viaggi, continua a sfornare previsioni). Ad esempio, parlando di cecità selettiva, sarebbe come se un sacco di gente affermasse che, grazie a Nazionale e Maneskin, quest’anno l’Italia domina il mondo e nessuno parlasse dei dati secondo cui l’Italia è penultima in classifica in Europa per quanto riguarda numeri di laureati. Una cosa del genere, insomma. Personalmente, trovo imbarazzante che anche fior di giornalisti si prodighino in lodi su questa nostra Nazione che trova la forza di imporsi al mondo, mentre in realtà siamo un po’ il fanalino di coda da tantissimi (troppi) punti di vista, come cultura, titoli di studio, retribuzioni, disoccupazione, libertà di stampa e così via. Vinciamo a pallone, e tutto il resto chissenefrega: potere dei bias!

Dunning-Kruger, quell’impostore!

Si tratta di un bias davvero curioso. Praticamente, consiste in questo: persone iper-competenti credono di non esserlo, o si mettono in dubbio. Persone che invece transitano la loro esistenza alla stregua dei nematodi e che nella libreria hanno poco più di un paio di almanacchi delle giovani marmotte si credono competenti e intelligenti e pontificano su tutto, con una sicumera che nemmeno Papa Francesco nei suoi giorni migliori. Gli affetti dal Dunning – Kruger (nella versione capra che si crede intelligente) pontificano su vaccini, su clima, su immigrazione… insomma, sanno tutto. Se pensiamo a tutti i commentatori calcistici di cui parlavo sopra a proposito del bias “carro del vincitore”, è facile identificarli: sono quelli che sentono l’insopprimibile urgenza di spiegarci le ragioni del Mister, o di argomentare su quelle che secondo loro sarebbero state le migliori tattiche di gioco o, infine, su come quel tizio con le braghette corte avrebbe dovuto tirare quel rigore. Spiegano tutto. Dal divano di casa loro, magari con una birra in mano. È statisticamente probabile che persone molto competenti, invece, proprio perché sono molto competenti, stiano zitte e lascino fare a ognuno il proprio mestiere. 

L’apofenia: una relazione clandestina

Infine, un difetto davvero gustoso del nostro cervello è la cosiddetta apofenia, ovvero un fenomeno mentale per cui tendiamo a mettere insieme cose creando schemi e correlazioni che magari non ci sono. Come se qualcuno volesse trovare una correlazione fra, ad esempio, fra l’eccesso di enfasi che si attribuisce, appunto, a certe questioni calcistiche e gli ultimi posti in classifica occupati per numero di lettori e numero di laureati. I più bravi a tirar calci a una palla, gli ultimi quando si tratta di leggere libri. Di sicuro è un caso. Vero?