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Vittime innocenti di mafia, 30 anni fa l’efferato omicidio di Gianmatteo Sole

Pubblicato: 22/03/2025 18:36
gianmatteo sole

La mafia non guarda in faccia nessuno. Non fa distinzioni, non conosce pietà. Lo dimostra la storia di Gianmatteo Sole, un giovane palermitano di nemmeno 25 anni la cui unica colpa fu quella di assomigliare a suo fratello e di avere tra i suoi amici, senza conoscerne l’ambiente familiare, il figlio di un boss. Una storia di ingiustizia e crudeltà che si concluse nel modo più atroce: con un omicidio che ancora oggi grida vendetta a 30 anni esatti dalla sua consumazione.

Gianmatteo Sole: un giovane perbene, una vita spezzata

Gianmatteo Sole era nato a Palermo il 20 aprile 1971. Era un ragazzo come tanti, cresciuto in una famiglia unita e con forti valori. Amava il suo lavoro, il calcio e la sua famiglia. Suo padre era un ufficiale di riscossione presso l’Esattoria, lui stesso aveva conseguito il diploma di geometra e condivideva il suo tempo con una comitiva di amici a Villa Tasca, tra cui i suoi fratelli Massimo e Floriana.

Nella stessa comitiva c’era anche Marcello Grado, un giovane con cui Gianmatteo e i suoi amici avevano un normale rapporto di amicizia. Ma Marcello era il figlio di Gaetano Grado, boss mafioso. Un legame di cui i Sole non erano consapevoli, ma che si sarebbe rivelato fatale per Gianmatteo.

Un tragico errore di mafia

La mafia corleonese, in quel periodo, era ossessionata da un possibile piano per rapire i figli di Totò Riina, il boss dei boss di Cosa Nostra, all’epoca finito in carcere da soli due anni dopo una lunga caccia degli inquirenti antimafia di mezza Italia. Si diceva che i Grado fossero coinvolti in quel progetto, e i boss volevano scoprire se Marcello Grado avesse parlato con qualcuno.

L’obiettivo iniziale era Massimo Sole, ma il destino si accanì su Gianmatteo. A causa della somiglianza con il fratello, i killer lo scambiarono per lui. La sera del 22 marzo 1995, mentre rientrava dal lavoro, fu fermato da due uomini che si spacciavano per poliziotti. Tra loro c’era Gaspare Spatuzza, futuro collaboratore di giustizia, che anni dopo avrebbe raccontato gli ultimi momenti del giovane.

Fu portato alla periferia di Villagrazia di Carini su un’auto rubata. Interrogato dai mafiosi, non capiva cosa stesse succedendo. Rideva, come se fosse vittima di uno scherzo. Ma non c’era nulla da ridere. Lo uccisero e bruciarono il suo corpo, cancellando ogni traccia. Un’atrocità senza senso, che colpì una persona del tutto estranea a quel mondo. Tre settimane prima, anche Marcello Grado era stato assassinato: i fratelli Sole erano rimasti sconcertati dal fatto, ma erano del tutto ignari delle motivazioni e del contesto in cui era maturato l’omicidio..

La verità raccontata da Spatuzza

E’ stato Gaspare Spatuzza, uno dei killer più spietati dei corleonesi divenuto collaboratore di giustizia, a rivelare anni dopo tutta la verità sull’omicidio di Gianmatteo Sole. Le sue parole sono ancora più strazianti:

“Questo ragazzo non c’entrava niente, niente di niente, un’anima innocente. Quando abbiamo finto di essere poliziotti lui ha riso, non ci credeva. Poi quando ha capito, rideva ancora… perché era estraneo a tutto, non aveva mai vissuto in un mondo così. Io pensavo: ma che è stupido questo? Non capiva nemmeno in che guaio si trovava.”

Parole che dipingono la tragedia di un giovane completamente inconsapevole, trascinato in un inferno che non gli apparteneva.

La giustizia e il ricordo di Gianmatteo Sole

I responsabili dell’omicidio – tra cui Leoluca Bagarella, Cosimo Lo Nigro, Antonino Mangano e lo stesso Spatuzza – furono condannati nel 1999 dalla Corte d’Assise di Palermo. Nel 2000, lo Stato riconobbe Gianmatteo Sole come vittima innocente della mafia, assegnando ai suoi familiari il supporto previsto dalla legge.

Nel tempo, la sua memoria è stata onorata in diversi modi. A Carini, la villa comunale di via Vespucci porta il suo nome, con una lapide in suo ricordo. Alla cerimonia di intitolazione erano presenti numerosi studenti delle scuole di Villagrazia di Carini, Terrasini e Monreale, che hanno studiato la sua storia e l’hanno raccontata sul luogo del delitto.

La famiglia Sole, nonostante il dolore incolmabile, ha scelto di trasformare questa tragedia in un impegno per la legalità, partecipando a iniziative e manifestazioni per sensibilizzare i giovani sulla lotta alla mafia.

Perché ricordare è un dovere

Gianmatteo Sole non si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Era a casa sua, nella sua città, nella sua vita. Erano i mafiosi a essere nel posto sbagliato, a seminare morte e terrore. La sua storia è il simbolo di una verità scomoda: la mafia non colpisce solo chi è coinvolto nei suoi affari, ma chiunque, senza logica, senza giustizia. E proprio in questi omicidi di giovani innocenti, la criminalità organizzata mostra il suo volto più spietato.

Ricordare Gianmatteo Sole, come le altre decine di giovani vittime innocenti di mafia, significa non accettare l’indifferenza. Significa continuare a combattere per un Paese libero dalla paura e dall’omertà. Significa dire, con forza, che la mafia non è invincibile. Finché il suo nome verrà pronunciato, finché la sua storia verrà raccontata, Gianmatteo Sole non sarà solo una vittima. Sarà un simbolo di memoria e di resistenza.

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Ultimo Aggiornamento: 22/03/2025 18:37

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