
Non avevano cercato la guerra, ma la guerra aveva trovato loro. E li ha annientati. Nicole Garanska aveva 5 anni e il suo sorriso era ancora pieno del mondo che avrebbe dovuto esplorare. Viveva con i genitori, Oleksandr e Maryna, in un appartamento nella capitale ucraina Kyiv, dove erano arrivati qualche mese prima da Orikhiv, una piccola città nella regione di Zaporizhzhia, devastata dai combattimenti. Avevano lasciato tutto: casa, amici, radici. Perché credevano che Kyiv, nonostante le sirene e le notti nei rifugi, potesse essere più sicura. Ma nella notte del 23 marzo, la guerra li ha raggiunti lo stesso.
Un drone russo ha colpito la casa di Kyiv in cui avevano trovato rifugio
Un drone russo ha colpito l’edificio dove dormivano. L’esplosione ha sventrato parte del palazzo, squarciando le mura e i sogni. Nicole e Oleksandr sono morti subito. Maryna, gravemente ferita, è stata estratta dalle macerie dai soccorritori. Ora è ricoverata in un ospedale, tra la vita e la morte, forse ancora ignara che non potrà più stringere sua figlia né il marito.
Oleksandr aveva appena iniziato a lavorare come muratore in un cantiere della periferia. Aveva mani grandi e stanche, ma ogni sera tornava a casa con un piccolo regalo per Nicole: una barretta di cioccolato, una molletta per capelli, una penna colorata. Lei lo aspettava seduta accanto alla finestra, contava le scale quando sentiva passi, poi correva ad abbracciarlo.
Maryna cercava di costruire una nuova quotidianità per la bambina: l’asilo, le passeggiate al parco, le foto accanto ai tulipani che cominciavano a fiorire. Nicole amava disegnare, e nei suoi ultimi disegni c’erano gatti, cuori, e una casa con un tetto rosso. Una casa che forse rappresentava quella che avevano lasciato, o quella che speravano di ritrovare.

Una storia purtroppo non diversa da migliaia di altre, ma con un volto, un nome, una voce
La loro storia non è diversa da migliaia di altre, ma ha un volto, un nome, una voce. È la voce di Nicole che cantava nel suo ucraino incerto, che chiedeva “quando torniamo a casa?” e che forse, nella sua mente di bambina, non aveva mai smesso di sperare in un ritorno.
Chi ha premuto quel bottone, chi ha armato quel drone, chi sostiene e giustifica queste azioni, ha ucciso anche la possibilità di quella risposta. E ha ucciso l’idea stessa di innocenza. Ora, a Kyiv, restano le macerie. E tra le crepe del cemento, resta la memoria di una bambina che voleva solo vivere.