
La morte di Richard Chamberlain, volto indimenticabile di padre Ralph de Bricassart, riporta sotto i riflettori uno dei romanzi più amati del secondo Novecento: “Uccelli di rovo”, capolavoro della scrittrice australiana Colleen McCullough, pubblicato nel 1977 e diventato un fenomeno planetario anche grazie alla celebre miniserie televisiva del 1983. L’opera ha attraversato le generazioni lasciando una traccia indelebile nell’immaginario collettivo, sospesa tra religione, desiderio e destino.
Ambientato nell’Australia rurale del primo Novecento, il romanzo racconta la storia della famiglia Cleary, emigrata dalla Nuova Zelanda per lavorare nella vasta tenuta di Drogheda. Al centro del racconto si staglia la figura di Meggie, unica figlia femmina, e il suo legame tormentato con un giovane e carismatico sacerdote cattolico: Ralph de Bricassart. Diviso tra l’ambizione ecclesiastica e una passione che lo consuma, Ralph diventa il simbolo vivente della lacerazione tra l’amore terreno e la fedeltà a Dio. Il loro sentimento attraversa decenni e ostacoli, intrecciandosi con la storia di una terra aspra e selvaggia, di una famiglia segnata dal dolore e di una società che non perdona.
Il titolo del romanzo si rifà a una leggenda struggente: esisterebbe un uccello che, appena nato, cerca per tutta la vita un unico albero spinoso. Quando finalmente lo trova, vi si conficca il petto e canta la sua melodia più bella, morendo. Questa immagine potente diventa il cuore simbolico del libro, dove l’amore autentico si esprime solo attraverso il sacrificio, e la bellezza assoluta nasce dal dolore. Non è solo un romanzo d’amore: è un affresco epico e spirituale, che scava nel senso della vocazione, nella ribellione silenziosa delle donne, nella tensione continua tra scelta e destino.

Alla sua uscita, “Uccelli di rovo” divise la critica. Da un lato fu lodato per la sua capacità di fondere melodramma e introspezione psicologica, dall’altro venne accusato di indulgere a un sentimentalismo eccessivo. Ma fu il pubblico a decretarne il trionfo: il romanzo scalò le classifiche internazionali, fu tradotto in oltre venti lingue e vendette milioni di copie. La scrittrice, all’epoca una ricercatrice in neurofisiologia senza esperienze letterarie, si trovò improvvisamente proiettata al centro della scena culturale mondiale. La sua voce, femminile e forte, parlava di amore, colpa e libertà in modo nuovo, diretto e universale.
L’adattamento televisivo del 1983, prodotto dalla ABC, consolidò la fama dell’opera. Interpretato da Richard Chamberlain e Rachel Ward, trasformò “Uccelli di rovo” in un fenomeno globale. La miniserie fu trasmessa in prima serata negli Stati Uniti e in Europa, registrando ascolti da record e conquistando un Golden Globe e numerose nomination agli Emmy Awards. In Italia divenne rapidamente un culto, capace di attirare milioni di spettatori e di scolpire per sempre nell’immaginario collettivo il volto di padre Ralph, diviso tra la tonaca e l’abisso dell’amore.
Al di là della sua popolarità, il romanzo fu letto anche come un’opera carica di simbolismi e riferimenti. Alcuni critici vi videro una riscrittura moderna del mito di Tristano e Isotta, altri ne evidenziarono la potenza femminile incarnata da Meggie: donna fragile ma mai rassegnata, vittima e insieme artefice del proprio destino, capace di sottrarsi a un sistema che la vorrebbe silenziosa. Lo stesso Ralph, con la sua doppiezza, la sua aspirazione al potere e il suo struggimento amoroso, divenne una figura archetipica: il prete che ama e si lascia amare, ma che rinuncia e muore dentro.
“Uccelli di rovo” resiste al tempo come tutte le grandi storie. È un romanzo che ha saputo parlare di fede e passione senza cadere nella retorica, che ha messo al centro le ferite dell’anima e i silenzi dell’amore, che ha raccontato la bellezza feroce di chi sceglie di soffrire pur di vivere fino in fondo. È il canto struggente di un uccello che muore per la propria canzone, e che ancora oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, continua a far vibrare corde profonde in chi lo ascolta.