
Mentre il mondo scivola verso un nuovo disordine armato, l’Italia resta ostaggio di una cultura minoritaria che predica neutralità, rifiuta la difesa comune e indebolisce l’Europa. È ora di scegliere da che parte stare.
Il mondo cambia, la guerra è tornata in Europa, e noi fingiamo che nulla sia accaduto. Fingiamo che il conflitto russo-ucraino sia una parentesi, che prima o poi finirà, e che l’Italia potrà restare ai margini, come se fossimo ancora nel Novecento. Ma la storia non aspetta. E in questa storia, la posizione italiana è ogni giorno più fragile, più ipocrita, più pericolosa.
C’è un’illusione diffusa nel dibattito pubblico: che l’Europa possa garantire la propria sicurezza senza armi, senza un coordinamento militare, senza diventare una potenza vera, non solo commerciale ma strategica. È una fantasia comoda, sostenuta da una minoranza rumorosa – fatta di ideologi, pacifisti d’apparato, sindacalisti nostalgici, cattolici post-dossettiani e populisti di destra e sinistra – che lavorano apertamente affinché l’Italia resti inerme. Per loro, la difesa è un tabù. Per loro, l’Europa armata è una minaccia, non una garanzia.
Ma la verità è che senza una difesa comune l’Europa non esiste. E senza l’Europa, l’Italia non conta. Chi si oppone alla costruzione di una capacità militare europea oggi lavora oggettivamente per l’interesse russo. Che lo sappia o no, chi invoca la pace a senso unico, chi rifiuta ogni spesa per la sicurezza, chi sogna un’Italia “neutrale” in un mondo in fiamme, sta aprendo le porte a un futuro in cui non saremo liberi.
La Russia non si fermerà. Anche se il conflitto in Ucraina si arrestasse domani, la strategia di Mosca è chiara: riportare l’Occidente in una condizione di debolezza, frammentare l’Europa, allontanare gli Stati Uniti, sottomettere le democrazie con il ricatto energetico, informativo, politico. Eppure, interi settori dell’opinione pubblica italiana continuano a credere – o fingere di credere – che basti sedersi a un tavolo con Putin. Che sia sufficiente non “provocarlo” per restare al sicuro.
Non è solo ingenuità: è una resa mascherata da buonsenso. È una politica estera fatta da chi ha rinunciato a ogni idea di libertà. Da chi preferisce l’ambiguità alla responsabilità. Da chi considera la democrazia qualcosa di negoziabile, purché si conservino i propri piccoli privilegi.
A tutto questo si aggiunge una lobby trasversale, politica ed economica, che spinge per un ritorno a relazioni “normali” con Mosca. Sotto la bandiera degli affari, dell’export, della stabilità dei mercati, si cela un progetto più insidioso: riportare l’Italia fuori dall’Occidente. Rompere il legame atlantico, rallentare l’integrazione europea, rimettere in discussione le alleanze. Non è solo un errore strategico: è un tradimento.
Il risultato è che l’Italia oggi è il ventre molle dell’Europa. Quando gli altri alzano la testa, noi abbassiamo lo sguardo. Quando gli altri parlano di autonomia strategica, noi parliamo di risparmio. Quando si chiede responsabilità, noi invochiamo prudenza. Ma questa prudenza, in realtà, è paura mascherata. È l’incapacità di stare nella storia.
Il punto non è soltanto militare. È politico, culturale, morale. È l’idea stessa di cosa vogliamo essere nel mondo. Se vogliamo restare una democrazia libera, dobbiamo cominciare a comportarci come tali. E i tempi delle democrazie richiedono forza, lucidità, coraggio. L’Italia non può continuare a nascondersi dietro le altrui decisioni, aspettando di capire da che parte tira il vento. Perché nel mondo che sta nascendo, chi non prende posizione verrà spazzato via.
Non possiamo più permetterci la neutralità. Non possiamo più cedere all’inerzia. Non possiamo più fingere. O saremo parte di un’Europa che si difende, o non saremo nulla.