
Nel momento in cui l’Unione europea affronta la prova più drammatica della sua storia recente, tra guerre ai confini e un alleato atlantico sempre più incerto, la Lega riporta in campo una vecchia parola d’ordine: no all’esercito europeo. Con una proposta di iniziativa parlamentare, accompagnata dall’idea di una mobilitazione nazionale, il partito di Matteo Salvini si schiera contro ogni progetto di difesa comune. E rilancia l’ideologia della sovranità integrale come risposta all’insicurezza globale.
«Non vogliamo che l’Italia venga trascinata in una nuova guerra», dicono i vertici leghisti, accusando Bruxelles di voler costruire un apparato militare svincolato dalle decisioni democratiche dei singoli Stati. Ma dietro le parole d’ordine della pace e del controllo nazionale si cela una visione isolazionista e regressiva, che rischia di lasciare l’Europa nuda in uno scenario geopolitico in cui solo le potenze armate dettano le condizioni.
In un contesto segnato dal ritorno della guerra convenzionale sul suolo europeo, con l’Ucraina sotto assedio e la Russia di Putin sempre più aggressiva, l’Unione si trova costretta a ripensare il proprio ruolo strategico. La presidenza di Donald Trump, tornato alla Casa Bianca, ha già fatto capire che la protezione americana non è più garantita né gratuita. E mentre Francia, Germania e i Paesi baltici invocano una maggiore autonomia militare, in Italia riaffiora la trincea del sovranismo, che confonde la difesa europea con una minaccia alla propria identità.
La Lega non è sola. Anche altri partiti, da Alleanza Verdi-Sinistra fino a Sinistra Italiana, condividono la contrarietà a una difesa integrata, seppure per motivi opposti. Ma è la destra nazionalista a tradurre questa posizione in una retorica di resistenza all’Europa. Una retorica che, pur vestendosi di neutralità e buon senso, finisce per legare il destino dell’Italia a quello di chi alza muri invece di costruire alleanze.
Il problema, però, non è solo ideologico. È strategico. Senza un esercito europeo, l’Unione resta una potenza economica senza potere politico. In un mondo dominato da logiche di forza, la scelta di non dotarsi di strumenti militari comuni equivale a una rinuncia alla sovranità, non a una sua difesa. I veri sovranisti, oggi, dovrebbero essere europeisti armati. Ma la Lega continua a difendere una sovranità italiana che non esiste più, se non nei simboli e nelle nostalgie.
La proposta di fermare il riarmo Ue non è quindi un gesto di prudenza: è un atto di disarmo politico. In un’epoca in cui la pace non si garantisce con la retorica, ma con la deterrenza, l’idea che l’Italia possa chiamarsi fuori è un’illusione pericolosa. Così, mentre altri lavorano a costruire un’Europa capace di esistere anche senza Washington, la Lega alza il cartello del “prima l’Italia” per coprire l’assenza di una visione continentale.
Eppure, senza una difesa comune, l’Unione europea rischia di restare un gigante economico con i piedi d’argilla. E l’Italia, al suo interno, rischia di passare da co-protagonista a semplice spettatrice. Ma di fronte a questa prospettiva, il dibattito politico nazionale si rifugia ancora una volta in slogan identitari, dimenticando che la sicurezza non è mai gratuita. E che la libertà, se non si difende, si perde.