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Quanto è “prezioso” Draghi: abbastanza da spaccare la politica a ogni ritorno

Pubblicato: 17/04/2025 12:55

Quanto è prezioso Mario Draghi? Lo è nel senso più concreto del termine: ha esperienza, relazioni, credibilità internazionale. Ma è prezioso anche perché si fa desiderare. Parla poco, compare di rado. Quando lo fa, non chiede spazio: se lo prende. E ogni volta che torna sulla scena, la politica italiana si spacca in due. È successo di nuovo: oggi nel giorno in cui Giorgia Meloni si gioca tutto nello Studio Ovale con Trump, torna a circolare il nome dell’ex numero uno della Bce. E si badi bene, non come uomo della provvidenza (certe etichette sono sempre ingannevoli, oltre che fastidiose), ma come risorsa strategica per l’Europa.

Si discute dell’ipotesi di un suo ruolo di mediatore tra Stati Uniti e Unione europea, in un momento in cui le tensioni economiche rischiano di diventare una guerra commerciale. Il nome di Draghi circola, come sempre, con una certa cautela e un inevitabile effetto deflagrante. Renzi e Boschi lo definiscono «il più bravo di tutti», Tajani frena («non ce n’è bisogno»), Salvini rievoca il passato («abbiamo già dato»).

Draghi divide perché non si lascia gestire. Perché non fa parte del gioco. E soprattutto perché non si fa tirare per la giacchetta. Ogni volta che lo si evoca, scatta l’eterna tentazione italiana di usarlo come soluzione di emergenza o tappabuchi di lusso. Ma Draghi non è né l’uno né l’altro. È un fuoriclasse, che conosce l’America meglio di chiunque altro in Europa. Gli studi al MIT, l’esperienza alla Banca Mondiale, la rete costruita tra banche centrali, governi e mercati lo rendono un interlocutore credibile, ascoltato e stimato. Quando il «New York Times» lo soprannominò “Mr. Fix-it”, nel 2022, non era solo per le sue doti da risolutore, ma per l’autorevolezza con cui sa muoversi nello scacchiere internazionale.

Mentre la premier Meloni affronta oggi la sua prova più complessa proprio alla Casa Bianca, preoccupata da eventuali sgarbi di Trump e al contempo impegnata ad evitare scivoloni davanti alla stampa americana, il paragone con Draghi è inevitabile. A differenza della presidente del consiglio italiana, che pare abbia dovuto simulare con lo staff ogni dettaglio dell’incontro per evitare inciampi, l’economista negli Stati Uniti non ha mai avuto bisogno di prove generali. Si muove con naturalezza, perché lì lo considerano uno di casa. E forse, anche per questo, torna ad essere il nome che rassicura, mentre il resto del mondo si agita.

Del resto, durante il suo governo, Draghi ha ottenuto risultati importanti soprattutto sul fronte della politica estera, consolidando la posizione dell’Italia in Europa e rafforzando i rapporti con Washington. Ma non ha mai cercato i riflettori, anzi: appena ha potuto, si è fatto da parte. Una ritrosia che, in un Paese dove chi ha potere tende ad aggrapparvisi, è diventata quasi un tratto sovversivo.

Non è un santo, non è un messia (e sarebbe un errore trattarlo come tale, con lo spirito fantozziano che a Draghi diverte così tanto), ma è un leader che, proprio perché non cerca ruoli, li rende possibili. E ogni volta che torna in campo, la politica si divide. Forse perché, in fondo, Draghi è sempre fuori da ogni schema. 

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