
Casa Santa Marta, che per dodici anni ha accolto la quotidianità spartana di papa Francesco, è tornata silenziosa. L’appartamento 201, dove ha vissuto l’inquilino argentino, è stato sigillato. Ma quei sigilli raccontano più di una semplice scomparsa fisica: sanciscono la fine di un doppio scarto rispetto alla tradizione papale – l’abbandono dei Palazzi Apostolici e la convivenza, mai risolta del tutto, con un Papa emerito relegato nel monastero Mater Ecclesiae fino al 2022.
Ora il Vaticano è sospeso tra passato e futuro. E chi si illudeva che la morte di Francesco avrebbe segnato automaticamente la restaurazione dell’ordine curiale si scopre impreparato. La Curia, umiliata e marginalizzata per oltre un decennio, non ha ancora una visione unitaria o un leader credibile da contrapporre al bergoglismo.
Un fronte conservatore diviso e senza guida
La minoranza rumorosa degli oppositori del Papa sudamericano – da Müller ai settori più reazionari dell’episcopato statunitense – ora si trova davanti a un paradosso: dover costruire un’alternativa. Senza Francesco da contrastare, manca il nemico, ma manca anche un’idea coerente di futuro.
Il fronte americano si muove con risorse ingenti e vecchie strategie, come il Red Hat Report, un dossier del 2018 targato Napa Institute, pensato per “classificare” i cardinali in base all’allineamento morale e dottrinale. Ma oggi, anche quel tentativo appare logoro, anacronistico, quasi più dannoso che utile alla causa. E mentre alcuni prelati strizzano l’occhio al trumpismo, la loro influenza resta marginale nel panorama globale.
Il rischio boomerang e il fantasma del Conclave
Il prossimo Conclave si annuncia come il terreno di una contesa opaca, più che di una sfida tra linee chiare. I conservatori sono spiazzati, non solo per l’assenza di un candidato forte, ma anche perché rischiano di essere travolti dalle loro stesse contraddizioni. L’alternativa a Francesco, al momento, non esiste. O meglio, esistono tante piccole alternative in conflitto tra loro.

Il ritorno ai Palazzi apostolici non è affatto scontato. Ma se accadesse, dovrebbe essere spiegato al mondo, non come una marcia indietro, bensì come un atto di normalizzazione. Ecco perché il vero nodo non è tanto dove abiterà il prossimo Papa, ma quale modello di governo vorrà adottare.
Ricostruire il governo della Chiesa
Tre sembrano oggi i punti cardinali condivisi anche da voci normalmente divergenti:
- Il bisogno di chiarezza dottrinale dopo la fase “visionaria” di Bergoglio.
- La ricerca di unità in un cattolicesimo sempre più frammentato.
- La ricostruzione di una macchina di governo efficace.
È soprattutto quest’ultimo punto a pesare. Il papato anticuriale ha scardinato strutture senza riuscire a sostituirle pienamente. Francesco ha fatto da solo, spesso, indebolendo perfino il ruolo della Segreteria di Stato, depotenziata nei suoi poteri economici, decisionali e diplomatici.
Le missioni di pace, ad esempio, sono state delegate al cardinale Zuppi, presidente della Cei, bypassando Parolin e la diplomazia vaticana classica. Ma questo ha generato sovrapposizioni, tensioni interne e un senso di smarrimento tra chi avrebbe dovuto guidare la macchina curiale.
Né Benedetto, né Francesco: ora serve un equilibrio nuovo
Lo scandalo del palazzo di Londra e il processo a Becciu, terminato con la sua condanna, hanno mostrato l’altra faccia di un sistema viziato da ambiguità. Eppure, né il papato curiale di Benedetto XVI, naufragato nel silenzio della rinuncia, né quello anticuriale di Francesco, hanno davvero funzionato.
Oggi si naviga in un vuoto strategico, in cui anche molti ex sostenitori del Papa argentino riconoscono l’urgenza di una nuova sintesi. Non una restaurazione nostalgica, ma una ricostruzione lucida, coraggiosa, che riporti equilibrio tra autorità spirituale e struttura di governo.
Il prossimo Papa, chiunque sarà, dovrà avere una dote rara: il talento politico. Perché più che un uomo della provvidenza, servirà un architetto del possibile.