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Morte di Papa Francesco, “stessa cosa a Jannacci, Pavarotti e Bulgari”: la scoperta

Pubblicato: 23/04/2025 11:42

La fila è lunga, silenziosa, composta. Uomini, donne, giovani, anziani. Tutti con lo sguardo rivolto in avanti, verso quel corpo che sembra dormire. È Papa Francesco, vestito con la semplicità che lo ha sempre contraddistinto, esposto nella Basilica di San Pietro. Un addio che dura tre giorni, dal 23 al 25 aprile, per dare modo a tutti di rendergli omaggio.

Ma dietro quella pace apparente, dietro quell’immagine serena, si nasconde un dettaglio che molti ignorano. Una pratica delicata, poco nota ma fondamentale in momenti come questi. È la tanatoprassi. Un termine tecnico, quasi clinico, che racconta però una storia molto più umana di quanto sembri. La tanatoprassi è un trattamento post-mortem che consente di ritardare la decomposizione del corpo. Non si tratta di imbalsamazione permanente, come quella dei faraoni egizi o dei santi incorrotti, ma di una conservazione temporanea, utile quando una figura pubblica deve essere esposta al pubblico per diversi giorni. È un gesto che unisce scienza e rispetto, estetica e igiene, memoria e necessità.

Papa Francesco non è il primo a cui è stato riservato questo trattamento. Prima di lui, anche Benedetto XVI — il Papa emerito Joseph Ratzinger — è stato sottoposto alla medesima procedura. Ma non solo religiosi. L’elenco di chi, dopo la morte, ha ricevuto questo “ultimo tocco” è lungo e sorprendente: Luciano Pavarotti, Rosa Carniato Benetton, Nicole Bulgari, Enzo Jannacci, e perfino Pelé. Persone diverse, mondi diversi, uniti da un dettaglio intimo e invisibile.

Il trattamento prevede l’iniezione di un fluido conservante nel sistema arterioso, seguito da cure estetiche per mantenere il volto disteso e riconoscibile. Lo scopo è duplice: da un lato bloccare temporaneamente il decadimento naturale, dall’altro offrire ai familiari e al pubblico l’immagine più rassicurante possibile. La tanatoprassi consente anche una conservazione igienica più sicura, evitando vapori e liquidi che inevitabilmente emergono nelle ore successive alla morte.

A spiegare tutto questo, con la professionalità di chi ha visto tanti ultimi saluti, è il dottor Andrea Fantozzi, presidente dell’Associazione Italiana di Tanatoprassi. Fu lui a guidare il team che trattò il corpo di Ratzinger, e oggi la stessa tecnica è stata impiegata per Papa Francesco. “Non è un imbalsamamento eterno – ha detto più volte – ma un modo per lasciare che l’addio avvenga senza traumi”.

Curiosamente, la tanatoprassi non è solo appannaggio dei grandi funerali. Viene usata anche in medicina legale, per preservare il corpo durante indagini giudiziarie o riesumazioni. In pratica, si ottiene una “fotografia” dei tessuti e delle lesioni, utile per accertamenti postumi. Eppure, quello che più colpisce è l’effetto umano. La tanatoprassi non parla solo alla scienza, ma anche al lutto. Serve a rendere l’ultima immagine di una persona cara meno dolorosa, più riconoscibile, più “viva” nei ricordi. In fondo, non è forse questo che cercava anche Papa Francesco per sé? Una morte sobria, sì, ma anche condivisa, senza barriere. Un addio umano, pieno di volti, di lacrime, di affetto. Grazie anche alla tanatoprassi, tutto questo è stato possibile.

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Ultimo Aggiornamento: 23/04/2025 11:45

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